50 sfumature di grigio
di Elisa Genghini
Pensate ad una giovane ragazza dall’aspetto un po’ ordinario (una Dakota Jonhson qualunque, certo) che ad un certo punto intervista un ragazzo inspiegabilmente ricco di carisma e sintomatico mistero (ma soprattutto di danaro) che la inizia alla pratica del bondage e quelle cose lì.
Pensateci per i primi tre secondi. Poi prendete tutto e buttatelo via. Almeno finché leggete queste dieci righe che sto scrivendo. Dell’argomento sadomaso, mistress e slave so solo queste tre parole, e per di più in questo periodo in cui tento di fare la dieta, un panino con tonno e maionese sarebbe il massimo della mia perversione, (ecco mi sta venendo già fame). Vi confesso che una volta ho provato a guardare il film. Era un’estate di quelle in cui alla televisione potevi scegliere tra film dell’orrore e repliche di telefilm con Chuck Norris. Un’estate prima di Netflix e tutto l’immenso universo delle piattaforme di streaming. Mi sono fermata al minuto in cui lui dice: “Io non faccio l’amore, io scopo, forte”. Qualche giorno dopo ho chiesto timidamente a delle amiche: “Ma tu hai per caso visto Cinquanta sfumature di grigio”, e molte mi han detto di avere spento la TV nello stesso istante in cui l’ho fatto io, quasi imbarazzate con se stesse per aver ceduto alla pruriginosa tentazione di dare un occhiata a cosa succedesse nel film. La stessa identica sensazione che ho provato io, nemmeno a dirlo.
Comunque tutto questo per dire sono due le cose che salvo. Una è Annie Lennox nella sua versione di I Put a spell on you, e su Annie Lennox non c’è veramente niente da dire.
L’altra è il titolo. Cinquanta sfumature di grigio. Perché sono quelle che si imparano a vedere quando si diventa una gallina vecchia. Sono i colori dell’esperienza. Sia chiaro, io il grigio lo odio, non metterei mai un vestito grigio, per quello sono della scuola o bianco o nero, ma solo per quello e poi, forse, dipende: il grigio perla, il grigio antracite non sono così male.
Mia figlia quando è felice di una cosa emette garruli gridolini di felicità ed esaltazione. Se prendo il liquido per le bolle, per esempio, e riesco a soffiare una bolla gigantesca, lei la guarderà fluttuare nell’aria saltellando e ridendo di un entusiasmo incontrollato salvo poi piangere come una fontana nel momento in cui la bolla terminerà il suo brevissimo ciclo di vita. E’ cosi perché a lei manca l’esperienza del grigio. O c’è una la perfezione sferica di una bolla, o non c’è nulla. Per lei è bianco o nero.
Con gli anni il grigio avanza. Avanza sui nostri capelli e sulle nostre facce, avanza nel nostro cuore e ci facciamo i conti, li ho fatti quando pensavo di smettere di suonare perché forse non ho avuto il riconoscimento che sognavo (di Annie Lennox ahimè ce ne sono poche); li ho fatti quando finivano le storie d’amore perché non erano storie d’amore perfette, li ho fatti quando mi sono accorta che non poteva andare bene sempre e ovunque, non tutti gli ambiti della vita possono andare a gonfie vele e di sicuro non contemporaneamente. Che qualche campo bisogna lasciarlo a maggese in modo che si rigeneri. Nel campo mezzo grigio e mezzo nero, diceva il buon Pascoli per descrivere qualcosa di lasciato andare, per un periodo. Ed ecco che torna il grigio. Il grigio che mi posso permettere, mi dico. Un giorno lascerò una canzone incompiuta perché non sarà bella come me la cantavo in testa, un giorno litigherò con il mio compagno e non avrò voglia per una volta di chiarire le cose, e pace e bene, non finirà per questo; un giorno lascerò mia figlia guardare i cartoni per tutto il pomeriggio perché sarò stanca, e l’altro mi dimenticherò di scrivere una mail importante di lavoro, e dovrò chiedere scusa al capo senza venire per questo licenziata, il giorno dopo rimedierò, forse, senza sentirmi un esserino misero. Nemmeno perfetta, eh, che alle donne questa caratteristica si richiede troppo spesso, e mi sarei anche un po’ rotta di essere perfetta perché la verità e che non lo sono mai stata, per fortuna; non sono né bianca né nera, sono grigia, con tutto il diritto di sentirmi tale.
Crediti:
L’immagine di copertina è uno scatto di Carol Alabresee