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NON SONO JONI MITCHELL. FORSE.
di Elisa Genghini

Io non sono Joni Mitchell.  Ok, non ci piove, è chiaro, cristallino, un dato inconfutabile. Prima di tutto perché sulla mia carta di identità c’è scritto un altro nome. Sono nata da un’altra parte, in un’altra epoca. Ho degli altri genitori altri occhi, capelli, altezza e soprattutto un peso molto diverso.

Non ho nemmeno mai incontrato Neil Young esibendomi in giro per i Café di Toronto, o Leonard Cohen, che si, in realtà l’ ho incontrato, se per incontralo si possa intendere il fatto di averlo ascoltato a Lucca Summer Festival qualche anno fa, praticamente in un era precedente, quando c’erano i concerti e lui era ancora vivo.

Non mi sono fidanzata con il cinquanta per certo dei Crosby Stills, Nash & Young, non ho duettato con James Taylor, sono motivazioni abbastanza sufficienti credo per farmi essere ancora più convinta di non essere Joni Mitchell.

Eppure sono stata Joni Mitchell.

Mi sono sentita Joni Mitchell il giorno che sono tornata da Monaco di Baviera guidando la mia minuscola utilitaria in compagnia della mia amica Lisa Gargoyle, una signora calabrese con una valigia di cinquanta chili e il suo gatto ciccione nel trasportino. Io e la Gargoyle avevamo deciso di andare a fare un comodo week-end a Monaco di Baviera in macchina. Era febbraio e nevicava su mezza Europa.

Per risparmiare un po’ di soldi, la signora con il gatto l’avevo tirata su tramite il sito Bla Bla Car che per chi non lo sa è una versione riveduta e modernizzata del vecchio autostop, quello che ai tempi di Joni Mitchell si poteva fare, e immagino che Lei l’abbia fatto più e più volte, lungo le strade da che vanno dal Canada a Laurel Canyon.  Noi dovevamo fare da Monaco di Baviera a Fiesso di Castenaso passando per porta San Vitale a Bologna. Molto meno poetico, non c’è che dire.

La mattina prima di tornare in patria mi sono svegliata nel letto di Sebastian. Un bel tedescone biondo con cui la sera precedente ho passato una bella notte.  Lui non c’era, era già andato a lavorare. Ho recuperato i miei vestiti sparsi, sono inciampata su una scarpa e mi sono caduti gli occhiali nella sua cesta della biancheria sporca. Rovistando mio malgrado tra vestiti e calzini appallottolati ho ritrovato i miei occhiali impigliati tra le sottili maglie di un perizoma di pizzo. Ho sorriso. Ho preso il mio zaino, ho recuperato la Gargoyle, la signora, il gatto e sono andata.

E mentre guidando passavo il confine con l’Austria prima e con l’Italia poi, mentre la signora dormiva, il gatto miagolava e la Lisa controllava il navigatore, nelle mie orecchie sentivo le note di un dulcimer spandersi nella mia testa ed improvvisamente ero su una strada deserta viaggiando, viaggiando, viaggiando alla ricerca di qualcosa, che cosa può essere, un po’ ti odio un po’ ti amo, ti amo quando mi dimentico di me. Voglio essere forte voglio voglio ridere voglio fare parte di quelli che vivono.

Così, lungo quell’autostrada, mi sono sentita Joni Mitchell, libera, felice per essermi presa un momento di piacere e di evasione che per gli uomini è normale e per le donne è ancora visto con malizia e pregiudizio.

E al mio ritorno ho scritto una canzone.

La ringrazio, Joni, perché con la sua vita, anche se cosi diversa dalla mia, le sue scelte, le sue canzoni e la sua indipendenza, ha contribuito a rendere libera me e tutte le donne libere del mondo.

Crediti:
L’immagine di copertina è Francesca Casanova

Vi proponiamo l’ascolto di Sebastian, la canzone scritta al ritorno da questo viaggio e di un album particolare di Joni Mitchell, Travelogue (2002) dove potete ascoltare l’artista reinterpretare alcune delle sue canzoni accompagnata da un’orchestra sinfonica, oltre ospitare artisti come Wayne Shorter, Kenny Wheeler, Herbie Hancock, Billy Preston e Larry Klein.

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